Essere genitori è un’esperienza meravigliosa, ma non è sempre facile. Il mestiere del genitore costringe infatti a fare i conti con emozioni intense, sia nostre che dei nostri figli, molto spesso contrastanti (gioia, rabbia, delusione, tristezza), e ci mette di fronte a emozioni con le quali abbiamo difficoltà a stare in contatto.
Quando vediamo il nostro bambino provare un’emozione molto intensa o un’emozione dolorosa possiamo rispondere o reagire in diversi modi:
una delle reazioni che possiamo attivare di fronte a un’emozione difficile, come a una crisi di pianto o di rabbia, è quella di concentrarci sui fatti e sulle soluzioni per fare in modo che l’emozione dolorosa passi il prima possibile. Per raggiungere questo risultato possiamo dare spiegazioni logiche (“non c’è bisogno di essere spaventati, ormai sei grande, non dovresti avere paura”; “non c’è motivo di piangere,la prossima volta andrà meglio”), questo tipo di risposta è riconducibile a un’elaborazione dell’emisfero sinistro del cervello: il lato più razionale e logico (Siegel, 2016). Un’altra risposta potrebbe essere il tentativo di distrarre il nostro bambino dall’emozione che sta provando (“guarda il pupazzetto…non piangere…guarda che bel pupazzetto”).
Non c’è nulla di sbagliato nel voler far star bene i nostri bambini, anzi siamo equipaggiati biologicamente per accudirli e proteggerli. Tuttavia, lo sforzo di voler evitare ai nostri figli di provare un’emozione negativa, o di sfuggire a un dolore cercando di uscire dall’emozione il prima possibile può essere frustrante e non portare al risultato sperato.
Hanno mai tentato di distogliervi da un’emozione intensa oppure a spiegarvi logicamente perché non dovreste sentirvi così? Vi hanno mai detto “ma di cosa ti lamenti? Pensa a quanto sei fortunata/o …C’è chi sta peggio di te”, oppure “dai su…non pensarci!”…Come vi siete sentiti?
Non c’è niente di male nelle risposte in sé, anzi, sono tutte affermazioni “corrette”. Quando però qualcuno è nel vivo dell’emozione (quindi è attivo l’emisfero destro) “parlare” esclusivamente con la parte sinistra del cervello non è utile. Rimanda l’idea che quello che si sta provando o sentendo sia sbagliato, oppure che gli altri non ci capiscano portando a sentirci soli e incompresi, oppure facendoci arrabbiare.
Un’altra reazione diffusa di fronte a un’attivazione emotiva intensa è quella di lasciarsi interamente trasportare dalla componente emotiva dell’altro, partendo quindi da un’attivazione dell’emisfero destro (piangere a dirotto davanti alla tristezza del proprio figlio, spaventarsi di fronte ad una manifestazione di collera). Risposte di questo tipo possono portare il bambino in una situazione di maggiore confusione e anche in questo caso rimandano l’idea di essere solo nel dover regolare e gestire la sua emozione.
L’ideale sarebbe rispondere equilibrando la parte “logica” e la parte “razionale”, ovvero riuscire a sintonizzarsi con l’emozione del bambino per poi accompagnarlo in questa “esplorazione emotiva”, il che significa aiutarlo a organizzare le emozioni che prova, qualunque esse siano, permettendogli di sperimentare anche stati emotivi intensi con l’idea che saremo al suo fianco (“essere con”), e che non è solo. Questa modalità di regolare e affrontare le emozioni consentirà al bambino di provare sulla sua pelle che le emozioni non sono pericolose e che si esauriscono (le emozioni sono degli stati discreti, come tali hanno un inizio, una durata e una FINE, anche la tristezza più grande o la rabbia più intensa finiscono). Inoltre premette di fare esperienza dell’“essere con”: il sapere di non essere soli quando si è arrabbiati o quando si è tristi è alla base della sicurezza emotiva e di un attaccamento sicuro.